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Aida, Verona, dromedari a molla e scarabei a motore.

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Guida Pratica agli animali dell'Aida illustrazione di Tostoini

Ogni generazione sente il bisogno di reinventare la ruota. Dopo aver scoperto le cose per la via lunga e accidentata torna con aria nonchalant dicendo “… ma sai che su [inserire argomento a piacere] avevi ragione?”
Prendi l’opera lirica. Mia madre adora l’opera, mi ha tirato su con l’opera in sottofondo, sono probabilmente l’unica bambina che nel ’92, quando la Rai trasmise la Tosca nei luoghi e nelle ore della Tosca era in fissa come se fosse lo sbarco sulla luna.

Poi niente, mi son persa per strada col noise, il grunge lo shoegaze per dimostrare che ero una ribelle (mamma guarda sono una ribelle!) e ci ho messo una ventina d’anni a ricordarmi che sai che effettivamente l’opera è una figata?

Ci piace farci raccontare delle storie, le andiamo a cercare continuamente. Le riconosciamo e ricerchiamo nelle serie tv, ci facciamo prendere dai personaggi, dalle svolte della trama, dalle colonne sonore. L’opera è un posto fantastico in cui trovare storie, personaggi e colonne sonore, ma in qualche modo abbiamo interiorizzato l’idea che sia un passatempo intellettuale, per cui serve la capacità di citare a memoria tutti i nomi dei fiati e l’orecchio assoluto.
E invece no: l’opera è per tutti. Era per tutti sin dall’inizio. Ci sono esplosioni, ammazzamenti e piangeroni!

L’Aida della Fura dels Baus, per esempio, è una delle cose più emozionanti e appaganti  che ho visto da un sacco di tempo a questa parte. Se la gioca con finali di stagione, film di robottoni e dischi più attesi dell’anno. E mentre gli occhi se la godono e il tuo treenne interiore fa la ola per gli scarabei a motore, le orecchie sono libere di concentrarsi sulla meraviglia della musica. (ho pianto plurime volte come una vite tagliata. Signora Hui He, quanto piangere)

Approposito di scarabei a motore, qui c’è una comoda guida per imparare a riconoscere gli animali dell’Aida della Fura Dels Baus, doveste mai trovarveli davanti. A Verona c’è anche l’AMO, l’Arena Museo Opera, in cui potrete farvi delle domande come “a chi mai verrebbe in mente di fare un calco della mano di Giuseppe Verdi sul letto di morte?” oppure guardare i bozzetti originali di Attilio Comelli per l’Aida del 1913 e rendervi conto che sì, Beyoncé ce la vedete un casino nei panni di Aida. O speculare sul fatto che se Leopoldo Metlicovitz fosse vivo adesso e circolassero le sue cartoline pubblicitarie per la Madama Butterfly che contengono uno spoiler gigantesco del finale verrebbe lapidato sulla pubblica piazza di internet.

Poi potete vedere le partiture originali dell’Aida, i bozzetti delle scenografie, i costumi, i figurini – gente come Galileo Chini (pure un discreto fico), Umberto Brunelleschi, Giulio Coltellacci – le affiche che nell’arco di cent’anni hanno portato la gente all’Arena. Insomma, c’è di che sollazzarsi. A questo punto, se vi è venuta voglia di andare a Verona, sappiate che per il Centenario del festival Areniano e il bicentenario di Verdi, Fondazione Arena di Verona mette a disposizione i tweet seats, dei posti a un prezzo speciale praticamente in braccio agli interpreti.

Fidatevi, è bello. Avrei un altro milione e mezzo di cose da dire, come il fatto che siamo entrati nel backstage e ho visto i camerini coi costumi e il coro e il palco come lo vedono quelli che ci cantano su, ma facciamo che vi lascio un po’ di link qui sotto e fate voi. Non vorrei uccidere la vostra curiosità col mio attuale entusiasmo molesto da neofita.

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1 commento su “Aida, Verona, dromedari a molla e scarabei a motore.”

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